L’Unione Europea e la responsabilità sociale di impresa RSI

on 7 Settembre 2024

L’Unione Europea [UE] definisce la Responsabilità Sociale d’Impresa [RSI] oppure CSR, dall’inglese Corporate Social Responsibility, come una “Consapevolezza attiva“, ovvero come una “Integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali, ecologiche e di sostenibilità delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate“.

Sarà per la speranza di un vento nuovo generalizzato, proiettato verso la salvaguardia dell’ambiente, la post Pandemia e la post Belligeranza che si vorrebbe soffiasse sull’economia, sarà perché i tempi stanno lentamente cambiando [Non molto tempo fa l’economista Edward Freeman teorizzava che “Per le imprese non è più tempo di fare solo soldi, ma anche di condividere il valore ed i valori”], eppure il tema dei comportamenti socialmente responsabili, dell’attenzione alle risorse umane e materiali, della necessità di uno sviluppo sostenibile, ha conquistato spazio non solo tra le aziende, ma anche nel non profit, nelle università e, quel che più interessa, nei Governi. Come noto il significato di Responsabilità Sociale d’Impresa è la capacità di coniugare il profitto con l’attenzione all’ambiente e al sociale. Non è un’attività tattica o residuale e non può essere considerata uno strumento per risolvere problemi contingenti. È una scelta strategica capace di incidere sui piani dell’organizzazione nel breve, medio e lungo periodo. È esattamente questo l’ambito di pertinenza della CSR – Corporate Social Responsibility aziendale, come è stata ufficialmente definita in anni lontani dalla Comunità Europea: «L’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate». In un mercato globale il concetto di Stakeholder è anch’esso di portata mondiale, e non c’è ambito d’impresa oggi che non debba curare la propria reputazione agli occhi dei cittadini. Soprattutto se i cittadini diventano sempre più consapevoli e sensibili al tema della sostenibilità economica ed ambientale, anche nelle proprie scelte di consumo. Le consultazioni pubbliche avviate a più riprese negli ultimi anni e orientate a ricevere stimoli per identificare il ruolo che la Commissione Europea dovrebbe avere nella promozione della CSR, ha consentito alla stessa Commissione di presentare a Bruxelles i risultati dell’indagine durante l’ultimo Multistakeholders Forum on Corporate Social Responsibility, insieme a numerosi attori impegnati sul fronte della CSR in Europa: da loro è emersa la necessità di focalizzare l’attenzione sulla finanza responsabile, di incoraggiare gli investimenti sostenibili di lungo termine e di educare i consumatori alla sostenibilità; inoltre, un accento è stato più volte posto sul bisogno di supportare la creazione di piattaforme per la condivisione delle best practices e sulla necessità di fornire alle imprese delle linee guida chiare per l’implementazione dei principi guida dell’ONU in materia di Business and Human Rights. Si è parlato, ancora una volta, di competitività, di innovazione e di sostenibilità, anche sociale nonché di partnership pubblico-privato e terzo settore, specie nell’ottica del recepimento da parte degli Stati delle Direttive appalti; di diritti umani, di public procurement e di finanza. L’85% dei rispondenti ha dichiarato che lo sviluppo della CSR può avere un impatto significativo per la sostenibilità dell’economia europea. In particolare alla domanda “Perché credi che la CSR sia importante per le imprese?” hanno detto:

  1. le imprese coinvolte in una politica di CSR di lungo periodo sono in grado di identificare meglio rischi e opportunità;
  2. le imprese che adottano linee guida trasparenti creano una vera e propria cultura al proprio interno funzionale ad attrarre e trattenere le migliori risorse professionali;
  3. le imprese che ascoltano e comprendono le aspettative dei propri stakeholders hanno maggiori possibilità di immettere sul mercato prodotti e servizi che possono contribuire alla soluzione di problemi globali;
  4. la Responsabilità sociale d’impresa RSI aiuta ad anticipare rischi ambientali e sociali;
  5. un comportamento responsabile consegna alle imprese una Licenza sociale ad operare sul mercato;
  6. la CSR aiuta a far crescere il valore dell’impresa.

Alla domanda “Perché credi che la CSR sia importante per la società?” hanno risposto:

  1. la CSR fa crescere indistintamente tutti gli stakeholders dell’impresa
  2. la CSR aiuta a ridurre le disuguaglianze e accresce il benessere collettivo
  3. la CSR crea un circolo virtuoso che attraverso una produzione sostenibile contribuisce alla crescita della società civile.

A noi il compito di dire che, poiché i comportamenti responsabili delle imprese fanno bene all’economia, all’ambiente e allo sviluppo della società, ciascun Governo è tenuto a:

  • studiare e applicare un sistema di incentivi fiscali per le imprese impegnate;
  • promuovere campagne di informazione efficaci verso i consumatori;
  • premiare gli atenei che nell’offerta didattica prevedano corsi e seminari sulla CSR intesa come strumento di crescita culturale.

Che la CSR produca vantaggi concreti è d’altra parte un fatto assodato. Anche negli ultimi Forum indetti sulla materia non sono mancate alcune testimonianze di buone pratiche: l’Olanda e la Danimarca [con politiche locali molto favorevoli alle imprese sostenibili]; la Bulgaria, con una sorta di rating devoluto a imprese responsabili previo controllo da parte dei sindacati, nonché un programma di formazione molto esteso; l’Italia, con la piattaforma interregionale e interministeriale INAIL sulle condotte di impresa responsabile; la Polonia, con un programma di applicazione della Norma Uni En ISO 26000:2020 [Guida alla responsabilità sociale] nella Pubblica Amministrazione; Malta, con una Piattaforma Nazionale governativa per le imprese etiche e sostenibili dal punto di vista ambientale.

Nell’ambito della responsabilità ambientale, uno degli indicatori più utilizzati per misurare il livello dell’azienda è la carbon footprint. Si tratta di un indicatore il cui calcolo permette di stimare la quantità di emissioni di gas climalteranti, cioè con un effetto sul riscaldamento climatico, generate in modo diretto o indiretto da un individuo, un’azienda, un evento, un prodotto o una nazione. La misura utilizzata per la carbon footprint viene espressa generalmente in termini di tonnellate di CO2. Ma può essere misurata anche in termini di CO2 equivalente se nella stima vengono considerate solo le emissioni di biossido di carbonio [CO2] o anche di altri gas climalteranti, come stabilito dal Protocollo di Kyoto.

L’unica certezza è che senza “responsabilità” non si può più fare business e il tema pressante del cambiamento climatico ha accelerato, per tutti, il tempo della consapevolezza e delle scelte di sostenibilità. Le nuove generazioni ci guardano e non ci sono margini d’errore, non possiamo sbagliare.

Rendicontazione della Sostenibilità

Con l’approvazione in via definitiva del CSRD [Corporate Sustainability Reporting] si segna una svolta epocale nel campo della rendicontazione di sostenibilità. L’Unione Europea ricopre un ruolo sempre più predominante nella lotta contro il cambiamento climatico e da anni è in prima linea per la formulazione di norme e l’erogazione di fondi volti alla protezione dell’ambiente e allo sviluppo sostenibile. Non sorprende quindi la proposta della Commissione europea, risalente all’ aprile 2021, sull’obbligatorietà della rendicontazione di sostenibilità. La nuova norma è stata approvata da Parlamento e Consiglio in via definitiva e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. La CSRD [Corporate Sustainability Reporting Directive] rafforza la norma precedente introducendo l’obbligatorietà per tutte le grandi imprese e le PMI quotate in borsa, ad eccezione delle microimprese quotate, a rendicontare la performance di sostenibilità. Inoltre, vigerà l’obbligo anche per le società non europee che fatturano almeno 150 milioni di euro in UE. Le aziende saranno chiamate a rendicontare sulla base di standard comuni e vincolanti, gli ESRS [European Sustainability Reporting Standards] forniti dall’Unione europea. Gli standard sono stati elaborati dal gruppo di lavoro EFRAG [European Financial Reporting Advisory Group] e sono allineati con gli standard GRI, le linee guida di rendicontazione di sostenibilità più utilizzate al mondo. La CSRD entrerà in vigore in modo graduale, in particolare:

  • Dal 1° gennaio 2024 per le grandi aziende già soggette alla NFRD [con reporting entro il 2025]
  • Dal 1° gennaio 2025 per le grandi aziende che non ricadevano nella NFRD
  • Dal 1° gennaio 2026 per le PMI, le quali disporranno di un periodo transitorio fino al 2028

L’approvazione della CSRD segna una svolta nel campo della rendicontazione di sostenibilità, infatti, se precedentemente le aziende coinvolte e obbligate a produrre il bilancio di sostenibilità erano circa 11.500, con la nuova norma queste passeranno a quasi 50.000. Sarà quindi essenziale conoscere i temi e gli aspetti da riportare richiesti dalla CSRD. Innanzitutto, le aziende dovranno rendicontare non solo sui temi ambientali, ma dovranno fornire informazioni riguardo materie come i diritti umani, corruzione e riciclaggio, responsabilità sociale, inclusione e diversità e governance aziendale, inoltre dovranno essere inseriti chiarimenti riguardanti l’impatto ambientale e sociale dei propri fornitori. I dati raccolti non saranno più pubblicati in un bilancio a parte, come invece succedeva con la NFRD o per quelle aziende che rendicontavano su base volontaria, ma saranno integrati alla Relazione sulla Gestione di fine anno in modo da garantire agli investitori e agli altri stakeholder una visione complessiva e trasparente. In secondo luogo, la CSRD introduce il concetto di doppia materialità, per il quale le aziende non dovranno più limitarsi a comunicare le loro performance sui temi di sostenibilità, ma dovranno anche evidenziare i rischi legati ai cambiamenti climatici e le questioni relative ai diritti umani e altre tematiche che potrebbero impattare la loro attività.

La CSRD è solo una delle ultime norme approvate in sede europea sul tema della sostenibilità e che si inserisce nello schema più ampio del Piano d’Azione della Finanza Sostenibile. Di quest’ultimo fa parte anche la Tassonomia Europea, aggiornata a gennaio 2024, che ha l’obiettivo di definire, in base a specifici criteri, quali attività economiche si possano definire sostenibili. I criteri individuati dalla Tassonomia vengono ripresi anche dalla CSRD e nel dettaglio sarà richiesto di rendicontare su indicatori chiave di performance per stabilire in che misura le aziende sono allineate ai criteri della Tassonomia. In questo contesto la CSRD si pone quindi come uno strumento utile per guidare gli investitori verso scelte più consapevoli e sostenibili.

E’ il caso di  ricordare, in chiusura, che i padri costituenti italiani ritenevano così importante il tema da averlo inserito in un apposito articolo che recita “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.” [Art.41 della Costituzione]

gianni-milanese

Settembre 2024 – Fonte AI

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adminL’Unione Europea e la responsabilità sociale di impresa RSI

La ragionevole durata dei Processi

on 7 Settembre 2024

Come è noto la Riforma della Giustizia, di fatto ancora work in progress, ha comportato una sostanziale modifica del Processo penale, a partire dalla durata dei giudizi. È riconosciuto che la Giustizia italiana abbia un passo da lumaca e che gli arretrati siano numerosi. Per accelerare e dare una svolta, si è pensato di agire in più modi, ad esempio imponendo termini certi sia alla durata dell’appello che a quello delle indagini. Va fin da subito precisato che l’obiettivo ambizioso del ministro Cartabia, cioè la riduzione del 25% della Durata dei procedimenti, non verrà raggiunto immediatamente. La Riforma, infatti, consiste in una Legge delega che dovrà essere attuata dai decreti legislativi emanati dal Governo. Per la “Prescrizione processuale” dalla decorrenza della Riforma sarà di quattro anni. La nuova prescrizione processuale è chiaramente ispirata dall’esigenza di dare attuazione al principio di ragionevole durata del processo, ma il disposto normativo non sempre appare in linea con questo obiettivo di fondo. L’accelerazione dei tempi della Giustizia non riguarderà, invece, i reati più gravi, cioè quelli di mafia, terrorismo, violenza sessuale e traffico internazionale di stupefacenti, per i quali sono previsti tempi più dilatati.

Riforma giustizia: quanto durano le indagini?

La Riforma della Giustizia modifica i tempi di durata delle indagini preliminari, prevedendo come termine massimo:

  • sei mesi per le contravvenzioni;
  • un anno per i delitti;
  • un anno e mezzo per alcuni gravi delitti.

Viene comunque ammessa la possibilità di una sola proroga di sei mesi, giustificata dalla complessità delle indagini. In caso di superamento del termine massimo di durata è previsto che il pubblico ministero [Pm] tolga il Segreto istruttorio dagli atti d’indagine, i quali quindi potranno essere visionati sia dall’indagato che dalla persona offesa.

Questo meccanismo, sebbene non incida direttamente sulla durata delle indagini, consente alle parti [indagato e vittima] di sollecitare il Giudice per le indagini preliminari [Gip] affinché intervenga per indurre il Pm a prendere le sue determinazioni [archiviazione o richiesta di rinvio a giudizio].

Priorità ai reati più gravi

La riforma della giustizia a firma Cartabia prevede una “corsia preferenziale” per i reati più gravi, come ad esempio quello di Associazione mafiosa. In presenza di questi gravi delitti, le Procure italiane devono garantire un tempestivo esercizio dell’Azione penale, in modo tale che i procedimenti non subiscano inutili rallentamenti. Questo punto della riforma potrebbe però rivelarsi controproducente: dando precedenza ad alcuni reati piuttosto che ad altri, si rischia di avere vittime di serie A e vittime di serie B, queste ultime destinate a non avere giustizia.

Riforma della giustizia: accelerare i tempi con i riti alternativi

La Riforma della Giustizia si propone di accelerare i tempi della Giustizia incentivando il ricorso ai riti alternativi, cioè a quei procedimenti speciali che consentono di addivenire alla definizione del processo in poco tempo. Per quanto riguarda il Patteggiamento, la riforma prevede che, quando la pena detentiva da applicare supera i 2 anni, l’accordo tra imputato e Pm si estenda anche alle Pene accessorie e alla confisca facoltativa, riducendo al contempo gli effetti extra-penali della condanna, prevedendo che questa non abbia efficacia nel Giudizio disciplinare e in altri casi.

Inoltre, per le contravvenzioni, il patteggiamento potrà comportare la riduzione della pena applicabile fino alla metà [e non più fino a un terzo]. Per quanto riguarda il Giudizio abbreviato, la riforma prevede che la pena inflitta sia ulteriormente ridotta di un sesto nel caso di mancata proposizione di impugnazione da parte dell’imputato. In pratica, l’imputato condannato, oltre alla riduzione della pena di un terzo, avrà diritto a un’ulteriore diminuzione [pari a un sesto] nel caso in cui rinunci a fare appello. Si tratta di un incentivo volto ad evitare inutili impugnazioni. Infine, la Messa alla prova sarà estesa sino a ricomprendere i reati sanzionati con pena fino a sei anni.

Riforma della Giustizia: più reati a citazione diretta

Sempre nella prospettiva di ridurre i tempi dei giudizi, la Riforma limita l’obbligo di svolgimento dell’Udienza preliminare attraverso l’estensione del catalogo dei reati con Citazione diretta davanti al Tribunale in composizione monocratica, individuandoli tra quelli puniti con pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni.

Riforma della Giustizia: più reati procedibili a querela

La riforma della giustizia punta ad ampliare il Catalogo di reati procedibili a querela, cosicché i procedimenti penali si celebreranno solamente in presenza di un effettivo interesse della vittima a ottenere giustizia.

Riforma: estensione della particolare tenuità

Per favorire la definizione immediata di procedimenti che hanno ad oggetto fatti obiettivamente non gravi, la Riforma della Giustizia prevede l’estensione dell’esclusione della punibilità per particolare tenuità ai reati puniti con pena non superiore nel minimo a due anni.

La Prescrizione processuale

Infine, uno dei punti più discussi della Riforma della Giustizia: la Prescrizione processuale. Com’è noto, a seguito della Riforma entrata in vigore nel 2020, la prescrizione dei reati si sospende definitivamente una volta pronunciata la sentenza di primo grado [indifferentemente di condanna o di assoluzione]. Per evitare che, adagiandosi sul fatto che la prescrizione non può più scattare, i giudizi d’Appello e in Cassazione possano durare una vita intera, la riforma Cartabia ha introdotto una speciale prescrizione processuale: in Appello i processi dovranno durare due anni e in Cassazione uno, con la possibilità che i procedimenti più complessi arrivino rispettivamente fino a tre anni e a diciotto mesi. La Riforma prevede però che per i reati più gravi [mafia, terrorismo, violenza sessuale e traffico di droga] il Giudice possa chiedere ulteriori proroghe di un anno. Se i termini sopra visti non vengono rispettati, il processo si ferma, diventando “improcedibile“. In ultima analisi, la Durata massima dei processi è

  • 3 anni per i procedimenti in primo grado
  • 2 anni per i procedimenti in appello
  • 1 anno per i procedimenti in Cassazione

In media, la durata totale di un processo con rito ordinario in Italia è di circa 840 giorni.

gianni-milanese

 Settembre- Fonte AI

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adminLa ragionevole durata dei Processi

Le novità per il Decreto legislativo 231/2001

on 7 Settembre 2024

PROVVEDIMENTI APPORTATI DALLA LEGGE N. 6 DEL 22 GENNAIO 2024

Disposizioni sanzionatorie in materia di distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici e modifiche agli articoli 518 duodecies, 635 e 639 del Codice penale. “Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali o paesaggistici” facente parte della fattispecie dei reati previsti dall’Art. 25-septesdecies [Delitti contro il patrimonio culturale] del D.Lgs 231/01.

Nuova aggiunta al catalogo 231 in seguito al recepimento sul piano interno della Direttiva [UE] 2019/2021, recante la nuova disciplina delle operazioni transfrontaliere, per tramite del D.Lgs. 2 marzo 2023, n. 19. La novella impatta anche sul “sistema 231”, introducendo un nuovo reato presupposto della responsabilità amministrativa degli Enti, dimostrando un approccio sanzionatorio a tutto tondo.

PROVVEDIMENTI APPORTATI DALLA LEX N.206 DEL 27 DICEMBRE 2023

Disposizioni organiche per la valorizzazione, la promozione e la tutela del made in Italy.

  • Modifica del testo dell’Art. 517 c.p. [Vendita di prodotti alimentari con segni mendaci] che ha interessato sia l’Art.25-bis.1 [Delitti contro l’industria ed il commercio] del D.Lgs231/01 sia la fattispecie della Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato [Art. 12, L. n. 9/2013] facente parte del Modello 231.

PROVVEDIMENTI APPORTATI CON D.LGS. N. 24 DEL 10 MARZO 2023

Attuazione della direttiva [UE] 2019/1937 [whistleblowing] del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali.

  • Estensione a tutti i datori di lavoro del settore pubblico e privato, a prescindere dall’adozione del modello organizzativo 231, quanto già stabilito nel decreto attuativo della direttiva europea n. 1937 del 2019 sul whistleblowing in merito a violazioni, comportamenti, atti od omissioni che ledono l’interesse pubblico o integrità dell’Amministrazione pubblica o dell’ente privato
  • Gestione dei canali interni di segnalazione ad una singola persona, ad un ufficio interno autonomo, di un soggetto esterno autonomo o al responsabile della prevenzione della corruzione nel settore pubblico ove è prevista tale figura, come pure nella ipotesi di condivisione del canale e della sua gestione tra comuni diversi dai capoluoghi di provincia
  • Aggiunta di un canale di segnalazione esterna alle modalità di segnalazione interna già prevista per le organizzazioni che adottano un Modello 231 attivato dall’ANAC a cui ricorrere quando non è stata previsto, attivato o non conforme  un canale di segnalazione interna, oppure il segnalante non ha avuto seguito alla sua segnalazione o ha motivi di ritenere che la sua segnalazione possa  determinare rischio di ritorsione o che  la violazione
  • La divulgazione pubblica [a determinate condizioni] con l’uso di supporti di stampa, della televisione, della radio, dell’uso di Internet

Nel corso dell’ultimo biennio sono intervenute novità legislative a modificare il dettato normativo del D. Lgs. n. 231/2001, modificando ed allargando le maglie di alcune fattispecie incluse nel catalogo dei reati presupposto. In questo contesto, di particolare interesse risultano essere le previsioni di cui alla Legge n. 238/2021 recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea – Legge Europea 2019-2020” [Legge Europea 2019-2020], nonché quelle introdotte dal D.lg. 25 febbraio 2022, n. 13 recante “Misure urgenti per il contrasto alle frodi e per la sicurezza nei luoghi di lavoro in materia edilizia, nonché sull’elettricità prodotta da impianti utilizzanti fonti rinnovabili”, che, introducendo nuove disposizioni in tema di abusi e reati connessi alla concessione del Superbonus 110%, ha impattato su alcuni reati presupposto della responsabilità delle persone giuridiche. La Camera dei deputati sempre nel 2022 ha approvato in via definitiva il disegno di legge che modifica il Codice penale, inasprendo le sanzioni per i reati contro il Paesaggio e i Beni culturali, ora espressamente richiamati anche dal D. Lgs. 231/2001. Le modifiche apportate al Codice penale dalla Riforma della Giustizia che andranno ad interessare il D.Lgs. 231/01 riguarderanno l’Art.640 C.p. inserito nell’Art. 24 “Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un Ente pubblico o dell’Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un Ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture e l’Art. 640-ter C.p. che oltre ad interessare l’Art. 24 riguarda anche l’Art.24-bis “Frode informatica” e nell’Art. 25-octies-1Delitti in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti”.

Le sanzioni previste per l’Ente sono sia pecuniarie che interdittive: da 300 a 800 quote per il delitto di cui all’art. 493-ter e fino a 500 quote per i delitti di cui all’art. 493-quater. In caso di condanna dell’ente per uno di tali delitti, le sanzioni interdittive applicabili sono quelle indicate nell’art. 9, c. 2 D.Lgs. 231/2001, ossia: interdizione dall’esercizio dell’attività; sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi. Il D. Lgs. 184/2021 ha anche modificato il testo del delitto di “Frode informatica, prevista all’art. 640-ter e rientrante nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti [ex art. 24 D. Lgs. 231/2001], il quale ora prevede una nuova circostanza aggravante nel caso in cui dalla alterazione del sistema informatico derivi un “Trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale”.

Sempre nel 2022 è entrato in vigore il D. Lgs. 195/2021 – attuativo della Direttiva UE 2018/1673 in materia di lotta al riciclaggio mediante il diritto penale – che è intervenuto sulle fattispecie incriminatrici di ricettazione, riciclaggio, reimpiego ed autoriciclaggio, di cui agli articoli 648 c.p., 648-bis, 648-ter e 648-ter 1 c.p., già incluse nel Catalogo dei reati presupposto all’art. 25-octies del D. Lgs. 231/2001. La rilevante novità, anche con riferimento al tema della responsabilità dell’Ente collettivo, risiede nell’ampliamento dell’ambito di applicazione dei suddetti delitti ai proventi indistintamente derivanti da qualsiasi tipologia di reato, con la conseguenza che il denaro, i beni o le altre utilità non dovranno più conseguire esclusivamente da “delitti” [dolosi o colposi] ma potranno derivare anche da contravvenzioni.

Il 19 giugno 2024, il Senato della Repubblica ha approvato la nuova legge in materia di rafforzamento della cybersicurezza nazionale e di reati informatici il cui testo è di seguito scaricabile.

Ecco una sintesi dei punti salienti:

  1. Obblighi di Notifica di Incidenti: Le pubbliche amministrazioni e altre entità specifiche devono segnalare e notificare incidenti informatici entro 24 ore e fornire una notifica completa entro 72 ore. In caso di inosservanza, sono previste sanzioni amministrative pecuniarie.
  2. Adozione di Interventi Risolutivi: I soggetti segnalati dall’Agenzia per la cybersicurezza nazionale devono adottare interventi risolutivi entro 15 giorni. La mancata adozione comporta sanzioni.
  3. Modifiche al Codice Penale: Sono state inasprite le pene per vari reati informatici, inclusi accesso abusivo a sistemi informatici, detenzione e diffusione di codici di accesso e danneggiamento di sistemi informatici di pubblico interesse e sono state introdotte le fattispecie di detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico( 635-quater.1  c.p.) e danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblico interesse (art. 635-quinquies c.p.).
  4. Coordinamento Operativo: È previsto un maggiore coordinamento tra i servizi di informazione per la sicurezza e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale, con possibilità di differimento di attività di resilienza in casi specifici.
  5. Personale Specializzato: Regole stringenti per il personale dell’Agenzia e degli organismi di informazione per la sicurezza che partecipano a percorsi formativi di specializzazione, con divieto di assumere incarichi presso soggetti privati per un determinato periodo.
  6. Contratti Pubblici: Nuove disposizioni per i contratti pubblici di beni e servizi informatici, con criteri di premialità per l’uso di tecnologie di cybersicurezza italiane o di Paesi UE/NATO.
  7. Modifiche al D.Lgs. 231/01

La nuova legge apporta alcune modifiche al D.Lgs. 231/01 riguardano l’introduzione di nuove sanzioni e l’estensione delle responsabilità amministrative degli enti:

  1. Aumento delle Sanzioni Pecuniarie: Per reati informatici, le sanzioni pecuniarie sono aumentate da duecento a settecento quote. In caso di estorsione informatica, si applica una sanzione da trecento a ottocento quote.
  2. Reati Informatici Specifici: L’articolo 24-bis è stato modificato per includere nuovi reati informatici, come il danneggiamento di sistemi informatici di pubblico interesse, con sanzioni che vanno fino a quattrocento quote.
  3. Sanzioni Interdittive: In caso di condanna per estorsione informatica, sono previste sanzioni interdittive per una durata non inferiore a due anni.
  4. Responsabilità degli Enti: Gli enti possono essere ritenuti responsabili per una serie di nuovi reati informatici, aumentando così la necessità di adottare modelli organizzativi adeguati a prevenire tali reati.

gianni-milanese

Settembre 2024 – Fonte AI

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adminLe novità per il Decreto legislativo 231/2001

Le scadenze Superbonus: cosa cambia dal 2024

on 7 Settembre 2024

Le prossime scadenze autunnali per il Superbonus: il calendario del nuovo superbonus con le ultime novità normative. I prossimi mesi vedranno in arrivo delle importanti scadenze per il superbonus frutto delle recenti novità e modifiche normative che hanno notevolmente cambiato la vecchia detrazione sulle ristrutturazioni edilizie.

Come è noto partire dal gennaio 2024 il superbonus ha subito una ulteriore riduzione dell’aliquota, attualmente al 90% per le spese sostenute fino al 31 dicembre, passando al 70% per certe categorie. L’esecutivo intende progressivamente smantellare la misura agevolativa eliminando i meccanismi di cessione e sconto in fattura che l’hanno caratterizzata. Dalle anticipazioni e indiscrezioni delle ultime settimane, si apprende che il Superbonus 2024 dovrebbe essere all’insegna del PNRR. Tramite i fondi del PNRR e il Piano Nazionale integrato energia e clima, intende prevedere aiuti per i condomini e le famiglie più abbienti ai fini di rendere più efficienti gli immobili. A beneficio di tali scopi dovrebbero essere spesi circa 1,3 miliardi di euro ma il governo, entro l’autunno 2024, dovrà prevedere le regole di funzionamento della nuova misura agevolativa per le ristrutturazioni e l’efficienza energetica. Restano altri bonus edilizi per il 2024:

  • L’Ecobonus, con detrazioni che variano dal 50% al 75% a seconda degli interventi effettuati e dell’immobile coinvolto;
  • Bonus ristrutturazioni, la cui agevolazione è pari al 50%.

Superbonus: le aliquote valide fino al 31.12. 2023 e le variazioni dal 2024

Come anche evidenziato dagli ultimi chiarimenti a tema superbonus pubblicati con la Circolare n 13/2023, il comma 1, lettere a) e b), dell’articolo 9 del Decreto Aiuti-quater, recante «Modifiche agli incentivi per l’efficientamento energetico», ha modificato il comma 8-bis1 dell’articolo 119 del Decreto Rilancio e introdotto il comma 8-bis.1.

Per effetto di tali modifiche, il Superbonus si applica:

  • Nella misura del 110 per cento alle spese sostenute entro il 31 dicembre 2023:
    • dai condomìni e dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni, con riferimento agli interventi su edifici composti da due a quattro unità immobiliari distintamente accatastate, anche se posseduti da un unico proprietario o in comproprietà da più persone fisiche [comma 9, lettera a, dell’articolo 119] e dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, dalle organizzazioni di volontariato e dalle associazioni di promozione sociale [comma 9, lettera d-bis, dell’articolo 119]; la detrazione spetta ai medesimi soggetti:
      • Nella misura del 90 per cento per le spese sostenute nell’anno 2023,
      • Del 70% per quelle sostenute nell’anno 2024,
      • Del 65% per quelle sostenute nell’anno 2025.
    • Nella misura del 110 per cento per le spese sostenute entro il 30 settembre 2023 per gli interventi effettuati su unità immobiliari dalle persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività di impresa, arti e professioni [comma 9, lettera b, dell’articolo 119], a condizione che alla data del 30 settembre 2022 siano stati effettuati lavori per almeno il 30 per cento dell’intervento complessivo; per tali interventi, avviati a partire dal 1° gennaio 2023, la detrazione spetta nella misura del 90 per cento per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023, a condizione che il contribuente sia titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare, che la stessa unità immobiliare sia adibita ad abitazione principale e che il contribuente abbia un reddito di riferimento, determinato ai sensi del co. 8-bis.1 dell’art. 119;
    • Nella misura del 110 per cento per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023 per gli interventi effettuati dagli Istituti Autonomi Case Popolari [IACP] comunque denominati nonché dagli enti aventi le stesse finalità sociali dei predetti istituti, istituiti nella forma di società che rispondono ai requisiti della legislazione europea in materia di «in house providing» per interventi realizzati su immobili, di loro proprietà ovvero gestiti per conto dei comuni, adibiti a edilizia residenziale pubblica [comma 9, lettera c, dell’articolo 119], compresi quelli effettuati dalle persone fisiche sulle singole unità immobiliari all’interno dello stesso edificio, e dalle cooperative di abitazione a proprietà indivisa, per interventi realizzati su immobili dalle stesse posseduti e assegnati in godimento ai propri soci [comma 9, lettera d, dell’articolo 119], per i quali alla data del 30 giugno 2023 siano stati effettuati lavori per almeno il 60 per cento dell’intervento complessivo.
    • L’Eurostat l’istituto europeo di statistica ha stabilito che il Superbonus dopo la riforma del marzo scorso debba «essere registrato nei conti pubblici come credito d’imposta non pagabile nel 2024». Resta invariata la regola per gli anni scorsi, fino al 2023, con il Superbonus classificato come “credito di imposta dovuto”.

      Significa che da quest’anno l’impatto dell’agevolazione al 110% sul deficit torna a essere diluita nel tempo. Si tratta di un bel sospiro di sollievo, perché la classificazione prevista negli anni scorsi da Eurostat ha appesantito parecchio il disavanzo, togliendo margini di manovra alle ultime manovre economiche e creando non pochi grattacapi al ministro dell’Economia.

      Marcia indietro rispetto alle precedenti regole

      Nel febbraio del 2024 l’Istituto Europeo di Statistica aveva classificato il credito d’imposta Superbonus come pagabile. La conseguenza è l’intera contabilizzazione su un unico anno fiscale. Il Governo invece contava sulla possibilità di poter continuare a suddividere l’impatto su più annualità, come per altre agevolazioni fiscali.

      Come conseguenza della regola europea, l’Italia ha introdotto una serie di misure che hanno rappresentato una stretta sul Superbonus, non solo riducendo l’aliquota ma anche fermando il mercato delle cessioni del credito. E questo evidentemente è stato apprezzato da Eurostat, che ora ritiene possibile considerare questi crediti non pagabili nel 2024. Quindi, appunto, spalmabili sui dieci anni previsti dalle quote annuali del credito d’imposta edilizio. La svolta è stata determinata dal Decreto Superbonus del marzo scorso, dl 39/2024, che ha allungato a dieci rate l’agevolazione sui lavori edilizi, ed eliminato le ultime fattispecie di possibili cessioni del credito.

      L’impatto sulla Legge di Bilancio 2025

      Fra i primi effetti positivi, c’è il fatto che prevedibilmente il Governo avrà uno spazio di manovra più ampio del previsto nel predisporre la Legge di Bilancio 2025. Il che è particolarmente positivo in considerazione del fatto che l’Italia è sotto osservazione per deficit eccessivo. La procedura prevede che venga concordato con Bruxelles un piano per ridurre progressivamente il deficit, continuando peraltro a contenere anche il debito che come noto è fra i più alti d’Europa. Questo comunque comporterà la necessità di uniformare le prossime manovre economiche al criterio della prudenza, ma non dover anche contabilizzare per intero il peso del Superbonus sul 2024 è senz’altro una boccata d’ossigeno.

gianni-milaneseSettembre 2024 – Fonte AI

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adminLe scadenze Superbonus: cosa cambia dal 2024

Libri sociali facoltativi e obbligatori

on 7 Settembre 2024

Come è noto, lo scopo del Legislatore è stato a suo tempo, finalizzato principalmente a rendere gli aspetti burocratici per le imprese meno pesanti. Nelle Società a responsabilità limitata Srl il Libro soci è stato abrogato dall’art.16, Legge 2/09 [Legge di conversione del DL 185/08]. Tuttavia, come è stato sottolineato dalle Massime n. 115 del Notariato di Milano ed una analoga del Notariato del Triveneto, l’abolizione dell’obbligo di tenuta del Libro soci non si traduce automaticamente in un divieto assoluto riguardo alla sua conservazione in uso, per le Srl già esistenti, oppure alla sua adozione facoltativa per scelta statutaria. Ciò può essere utile per assicurare, da parte degli amministratori, un’ordinata gestione delle vicende societarie legate alla posizione dei soci. Il tema controverso è se l’autonomia statutaria possa spingersi sino ad inserire nel testo dello Statuto di Srl una clausola che subordina l’efficacia del trasferimento delle quote sociali nei confronti della società, e di conseguenza anche la legittimazione all’esercizio dei diritti sociali, all’iscrizione del socio nel Libro soci.

Un orientamento negativo, poco dopo l’entrata in vigore della norma che aveva abrogato il Libro soci nella Srl, era stato espresso dal Giudice del Registro delle imprese del Tribunale di Verona che, con la sentenza n.1289/09 del 14 settembre 2009, aveva giudicato come non consentita un altro utilizzo del Libro soci, neppure per scelta volontaria. L’orientamento del Notariato è invece diretto a ritenere che le clausole statutarie relative al Libro dei soci, sarebbero:

  • Fonte informativa del domicilio dei soci nei loro rapporti con la società;
  • Strumento organizzativo per l’acquisto della legittimazione all’esercizio dei diritti sociali;
  • Strumento di efficacia della cessione della partecipazione nei confronti della società.

Secondo questo filone interpretativo sarebbe quindi inefficace nei confronti della società la cessione della partecipazione sociale avvenuta in violazione di tali limiti statutari; di conseguenza, l’iscrizione nel Registro imprese di un atto di cessione di quote affetto da tali vizi, non sarebbe comunque idonea a sanarli, con l’effetto di rendere la cessione non opponibile alla società, od ai terzi, nei limiti e secondo le regole che attengono a ciascuno. Il Tribunale di Roma è intervenuto su questo tema con l’ordinanza n.72180/2014 del 15 gennaio 2015 in cui ha dichiarato illegittima la clausola statutaria che fa dipendere dall’iscrizione nel Libro soci, volontariamente tenuto dalla Srl, l’efficacia verso la società del trasferimento delle quote sociali. Secondo il Tribunale di Roma l’art.2470 C.c. sarebbe una norma cogente ed imperativa, inderogabile dall’autonomia contrattuale delle parti. Secondo i Giudici romani, quindi, nulla osta al fatto che nello statuto della Srl possa essere ancora prevista la tenuta facoltativa del Libro soci, mentre non sarebbe legittimo il fatto che all’annotazione nel Libro soci possa essere subordinata l’efficacia del trasferimento delle quote sociali. Per la sentenza citata, ammettendo tale possibilità, di fatto si rimetterebbe alla volontà dei soci una sorta di potere di abrogazione degli effetti della legge.

Seppure la materia, come emerge dalla sentenza in commento, sia piuttosto controversa, a nostro avviso resta comunque consigliabile consentire, in via statutaria e facoltativa, la tenuta del Libro soci demandandone la decisione agli amministratori della società.

In conclusione, ecco quali sono i libri sociali obbligatori per ogni tipo di società:

Libri sociali obbligatori
Tipo di società S.r.l. S.r.l.s. S.r.l.u. s.p.a.
01. Libro Giornale Si Si Si Si
02. Libro degli Inventari Si Si Si Si
03. Libro dei soci No No No Si
04. Libro delle obbligazioni No No No Si
05. Libro delle Assemblee dei soci Si Si  Si Si
06. Libro delle deliberazioni del Cda Si  Si  Si  Si
07. Libro del Collegio sindacale Si  Si  Si  Si
08. Libro delle decisioni Comitato esecutivo No  No  No  Si
[se esiste]
09. Libro Assemblee degli Obbligazionisti No  No  No  Si
[se emesse]
10. Libro dei prodotti finanziari No No  No  Si

LIBRI CONTABILI OBBLIGATORI

Nello svolgimento dell’attività imprenditoriale non si devono sottovalutare obblighi e adempimenti, che variano in base al tipo di contabilità adottata. Tra gli obblighi c’è la tenuta dei libri contabili [detti appunto obbligatori] e dei registri. Mentre in regime forfettario non esistono condizioni, in regime ordinario e semplificato le imprese sono obbligate a tenere una serie di libri e registri ai fini della normativa civile e fiscale. Questo perché le imprese, soprattutto quelle in regime ordinario, sono tenute a rendere nota la gestione che interessa l’attività commerciale svolta e questo avviene attraverso la tenuta di libri e registri. L’esercizio di attività d’impresa oppure di lavoro autonomo comporta, infatti, l’obbligo di tenuta di libri e registri contabili come previsto dal Codice civile e/o dalle norme tributarie, tra cui il DPR n. 600/73 e il DPR n. 633/72. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili [registri e libri] ricade, nella maggior parte dei casi, sul commercialista e sul consulente fiscale che tiene aggiornati i documenti per conto dell’imprenditore o professionista. Alcuni libri però sono ad esclusiva tenuta dell’impresa e devono essere non solo conservati in azienda ma anche redatti dall’imprenditore. A tal proposito è importante approfondire quali sono gli obblighi che ricadono sul professionista o sull’imprenditore al fine di evitare errori che compromettano la tenuta contabile dell’impresa.

Anche se l’onere della compilazione e tenuta delle scritture contabili ricade principalmente sul commercialista o sul consulente ci sono degli adempimenti che l’imprenditore deve comunque fare in prima persona:

Bollatura e vidimazione – Ordinarie e semplificate devono tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Questi vengono redatti e compilati dal commercialista, ma devono essere conservati presso la sede dell’attività. L’art. 8 della legge n. 383 del 18/10/2001, ha soppresso l’obbligo della bollatura di questi libri, fermo restando l’obbligo della numerazione progressiva delle pagine. A questi registri deve però essere apposta, obbligatoriamente, una marca da bollo [ogni 100 pagine] che varia da 16 euro [per società di capitali che versano in misura forfettaria la tassa di concessione governativa] a 32 euro [per tutti gli altri soggetti]. Le marche da bollo vanno acquistate entro il 31 dicembre per l’anno precedente. In caso di dimenticanza, possono anche essere acquistati successivamente facendo un “ravvedimento”, pagando cioè una mora sui 16 euro.

Tassa annuale di vidimazione libri sociali

Le società di capitali, ogni anno devono ricordarsi di pagare, all’Agenzia delle Entrate, la tassa per adempiere alla numerazione e bollatura dei libri sociali. Il pagamento va adempiuto entro il 16 marzo, attraverso modello F24, unicamente con modalità online, indicando il codice tributo 7085. Qui trovi un esempio di compilazione modello F24 per il pagamento della tassa.

La tassa da versare è pari a:

  • 309,87 euro, se la società ha un capitale fino a 516.456,90 euro;
  • 516,46 euro, se la società ha un capitale oltre il suddetto limite.

Il capitale sociale di riferimento per il calcolo è quello esistente al 1° gennaio dell’anno in cui viene versato. La scadenza per il pagamento è fissata al 16 marzo di ogni anno. Le imprese di nuova costituzione possono versare la tassa anche utilizzando un bollettino postale intestato all’Agenzia delle Entrate. Il pagamento non si calcola in base al numero di libri detenuti, quindi l’importo da pagare è quello in base al proprio Capitale sociale.

Ravvedimento tassa

Come tutte le tasse, anche la tassa per bollatura e vidimazione è obbligatoria e in caso di omissione, c’è una multa da pagare. In caso di mancato pagamento della tassa, la sanzione prevista va dal 100 al 200% della tassa evasa, con un minimo di 103 euro. Se dimentichi di pagare la tassa, puoi metterti in regola avvalendoti del ravvedimento operoso, ossia una possibilità concessa dall’Agenzia delle Entrate con cui tu stesso dichiari apertamente di aver dimenticato di pagare la tassa, provvedi al pagamento e, da parte sua, l’Agenzia delle Entrate ti applica una sanzione ridotta. Maggiore è il tempo trascorso dalla scadenza [che ricordiamo, è entro il 16 marzo di ogni anno], maggiore è la sanzione da pagare. Viceversa, meno è il tempo trascorso, minore è l’importo della sanzione. Nello specifico:

  • 0,1% per ogni giornata di ritardo quando il pagamento avviene entro 14 giorni dalla scadenza
  • 1,5% fissa senza contare i giorni di ritardo per versamenti effettuati entro 30 giorni dalla scadenza
  • 1/18 della sanzione al 30% quando il pagamento è effettuato entro 90 giorni dalla scadenza
  • 1/8 della sanzione del 30% entro un anno dalla scadenza
  • 1/7 della sanzione pari al 30% per versamenti avvenuti entro due anni dalla scadenza
  • 1/6 della sanzione minima del 30% se il pagamento è stato effettuato dopo due anni dalla scadenza

Il versamento della tassa deve essere effettuato utilizzando il modello F24 – codice tributo 7085, mentre la sanzione andrà versata con modello F23 riportando il codice tributo 678T.

Conservazione dei registri contabili

può essere cartacea oppure elettronica [circolare 36/e/06 Agenzia delle Entrate]. Il commercialista compila i registri e invia i Pdf al professionista o all’impresa, che può stamparli oppure conservarli in formato elettronico, ma pur sempre tenendoli in sede in caso di eventuali accertamenti della Guardia di Finanza. Si tratta dei registri IVA [Acquisti, Vendite, Corrispettivi e annotazioni revers], Situazione contabile, Schede contabili, Partitari clienti e fornitori e Beni Strumentali]. L’articolo 2220, comma 1 e 2, dispone che questi documenti debbano essere conservati per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione. Come detto riguardano le società di capitali, per azioni e cooperative: libro dei soci [o dei consorziati], libro decisioni degli amministratori, libro decisioni del Cda [o libro assemblee]. La gestione di questi libri è a carico esclusivo della società. Questi libri infatti devono essere acquistati, vidimati e compilati dall’azienda e rimangono in sede. I libri sociali possono essere acquistati presso i negozi di cartoleria da ufficio oppure possono essere richiesti al proprio commercialista in formato digitale da stampare. In entrambi i casi dovranno essere vidimati presso gli uffici del Registro delle Imprese di competenza.

gianni-milanese

Settembre 2024 – Fonte AI

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adminLibri sociali facoltativi e obbligatori

I limiti per l’obbligo di nomina dell’Organo di controllo delle Società

on 7 Settembre 2024

I limiti per la nomina dell’Organo di controllo

Come è noto il D. Lgs. 14/2019 è intervenuto a modificare le disposizioni che regolamentano la disciplina concorsuale, con decorrenza dal 15 agosto 2020. Per alcune previsioni è stata però introdotta una efficacia anticipata fissata al 16 marzo 2019. Tra queste va segnalata la modifica dell’art. 2477 C.c. operata dall’art. 379, D. Lgs. 14/2019.

La nomina dell’Organo di controllo o del Revisore è obbligatoria se la Società è tenuta alla redazione del Bilancio consolidato ovvero controlla una Società obbligata alla Revisione legale dei conti; tale nomina è altresì obbligatoria quando dovessero essere superati determinati parametri dimensionali. Con riferimento proprio a tali parametri, in precedenza l’obbligo di nomina si innescava al superamento dei limiti previsti dall’Articolo 2435-bis [quelli che comportano l’obbligo di redazione del Bilancio in forma ordinaria], oggi invece nell’articolo 2477 sono stabilite regole specifiche.

Il D.L. 14/2019 aveva introdotto parametri oltremodo ridotti: tali limiti erano stati portati a 2 milioni per attivo e ricavi; il terzo parametro riguarda i dipendenti mediamente impiegati, il cui limite era posto pari a 10.

Il D.L. 55/2019 [L.55/2019] interviene raddoppiando tali limiti: 4 milioni tanto per i ricavi, quanto per l’attivo patrimoniale, mentre il numero dei dipendenti è stato posto pari a 20.

Limiti Limite aggiornato al D.L. 14/2019
Attivo 4.000.000 euro
Ricavi 4.000.000 euro
N. medio dipendenti  20
Regola di “innesco” 1 su 3 per 2 anni consecutivi
  • È obbligata a stilare il bilancio d’esercizio consolidato [D.lgs. 27/01/10];
  • Controlla altre società che hanno l’obbligo di revisione legale [D.lgs. 27/01/10]

La nomina dell’Organo di controllo o del Revisore si innesca a seguito del superamento anche solo di uno di questi limiti per due anni consecutivi: tale regola, introdotta dal D.L. 14/2019, non è stata modificata dal D.L. 32/2019.

Resta, altresì, inalterato l’articolo 2477, comma 3, Cod. civ., secondo il quale l’obbligo di nomina in questione cessa quando, per tre esercizi consecutivi, non è superato alcuno dei predetti limiti.

Non sono stati modificati i riferimenti temporali: con riferimento alle società aventi l’esercizio coincidente con l’anno solare, in sede di prima applicazione delle nuove disposizioni, per la verifica del superamento delle soglie si dovrà avere riguardo agli esercizi 2022 e 2023.

Le nuove regole per la nomina del sindaco o del revisore nelle società a responsabilità limitata sono state recentemente prorogate di un ulteriore anno: sarà infatti in sede di approvazione del Bilancio 2023 che le società dovranno valutare il superamento dei limiti previsti dall’articolo 2477, Cod. civ.

La decorrenza

L’articolo 379 del Codice della crisi [D.Lgs. 14/2019], dopo alcune modifiche attuate con alcuni interventi correttivi nel corso degli ultimi due anni, ha formulato l’attuale versione dell’articolo 2477, Cod. civ. riguardante la nomina dell’organo di controllo. L’attuale versione, in particolare, prevede dei limiti dimensionali ridotti rispetto al passato. La nomina dell’organo di controllo o del revisore è obbligatoria se la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato ovvero controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti; tale nomina è altresì obbligatoria quando dovessero essere superati determinati parametri dimensionali. La nomina dell’organo di controllo o del revisore si innesca a seguito del superamento anche solo di uno di questi limiti, per due anni consecutivi:

  • 4 milioni di euro del totale dell’attivo di bilancio;
  • 4 milioni di euro delle vendite e delle prestazioni;
  • 20 dipendenti occupati in media durante l’esercizio.

L’efficacia di tali limiti era stata ancorata all’approvazione del Bilancio 2022; entro tale data le società si sarebbero dovute preoccupare di tale obbligo di nomina. Con l’articolo 1-bis, D.L. 118/2021, introdotto in sede di conversione avvenuta con la L. 147/2021, è stata disposto un ulteriore rinvio e, a seguito di tale modifica, la nomina dell’organo di controllo sulla base dei nuovi parametri è divenuta obbligatoria in sede di approvazione del Bilancio 2022 [quindi, nei fatti, nella primavera del 2023]. Tale differimento deve essere letto in maniera coordinata con i rinvii già disposti dall’articolo 1, D.L. 118/2021 relativamente alle altre previsioni contenute nel codice della crisi, in particolare della procedura di allerta [attualmente posticipata alla fine del 2023]. Quindi, a seguito dell’approvazione del Bilancio 2022, potrebbe verificarsi l’obbligo di nomina dell’Organo di controllo; al riguardo va rammentato che in sede di prima applicazione, il comma 3 dell’articolo 379, D.L. 14/2019 ha previsto 9 mesi a favore delle società per adeguarsi alle nuove previsioni dell’articolo 2477, Cod. civ. Pertanto le società dovranno verificare la necessità di una eventuale nomina dell’Organo di controllo o del Revisore.

Il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza dell’impresa, che ha modificato l’Art. 2086 C. c, introduce importanti modifiche sugli assetti organizzativi dell’impresa, con riferimento all’organizzazione delle società commerciali, alla responsabilità degli amministratori, alla nomina degli organi di controllo nelle società a responsabilità limitata, alle cause di scioglimento delle Società per azioni e alla disciplina dell’insolvenza delle Società cooperative.

Con l’approvazione del Bilancio d’esercizio chiuso al 31/12/2022, le “SRL” saranno obbligate alla nomina dell’organo di controllo [Collegio Sindacale o Sindaco Unico o Revisore].

L’argomento recentemente si è arricchito della circostanza che il MEF ha recentemente avviato l’iter per dare attuazione al controllo di qualità sulla revisione, che presumibilmente verrà attuato nel 2024. Questo controllo avrà la finalità di:

  • verificare la reale indipendenza del Revisore;
  • controllare il puntuale rispetto dei principi di revisione [ISA Italia] e relative carte di lavoro;
  • verificare complessivamente la qualità del lavoro svolto.

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adminI limiti per l’obbligo di nomina dell’Organo di controllo delle Società

Moria di imprese in Italia nell’ultimo anno

on 7 Settembre 2024

Dopo oltre un anno di continua decrescita, nel 2023 sono tornate ad aumentare i fallimenti e le chiusure delle imprese. È la fotografia scattata dal Cerved, che mette in luce come nel secondo trimestre del 2023 oltre 12 mila esercizi hanno abbassato la saracinesca. Nel report ‘Le chiusure d’impresa nel secondo quadrimestre 2023 e gli impatti sull’economia reale, l’Agenzia di rating segnala una crescita dei fallimenti delle imprese pari all’1,5% e un’impennata del +26,1% per le liquidazioni volontarie. A conti fatti, sono 2.070 le imprese fallite registrate nel secondo semestre del 2023 [contro i 2.039 fallimenti registrati nel secondo quadrimestre del 2022] e 10.446 liquidazioni in bonis [vs 8.282].

Fallimenti, zone e settori più colpiti

A fallire sono principalmente le piccole e medie imprese del nord-est [+12,1%] e del centro Italia [+11,6%]. A pesare sulle nostre Pmi sono la crisi di liquidità e l’allungamento dei tempi di pagamento verso i fornitori, che spesso e volentieri si trasformano prima in ritardi e poi in mancati pagamenti. Ma chi è che fallisce? A fare numero in questo secondo trimestre sono principalmente le ditte individuali [+27,7%], mentre le società di capitali registrano ‘solo’ un +0.3% di fallimento. A trainare Spa e Srl sono principalmente le aziende dal grosso fatturato, che oscilla tra i 2 e i 10 milioni di euro [+44,8%]. Allargando lo sguardo verso i settori, a fallire sono l’industria [+5,2%] e una fetta dei servizi [+1], in particolare: prodotti da forno [+84,6%], alberghi [+50%] e ingrosso costruzioni [+30%] Seguono poi i servizi sanitari [+33,3%], le lavorazioni meccaniche e metallurgiche [+24%], la carpenteria metallica [+23,1%], servizi informatici e software [+20,8%], la ristorazione [20,3%]. Tutti comparti, spiegano gli esperti del Cerved, che avevano registrato peggioramenti già nel corso del 2022.

Chiusure volontarie: dove e quali comparti

Le liquidazioni volontarie hanno registrato un’impennata del +26,1% rispetto al secondo trimestre del 2022. A chiudere i battenti sono principalmente il settore costruzioni [+33%], servizi [+26,2%] e industria [+22,8%]. Addentrandoci tra i comparti si scopre chi sta soffrendo di più: il comparto metalli registra il picco con un +128.6% di liquidazioni in bonis, a seguire alberghi [+57,9%] e ingrosso per le costruzioni [+50%]. Seguono l’edilizia [+42,2%], il commercio al dettaglio [+41,1%], prodotti da forno [+39,5%], spedizionieri [+37,6%], concessionarie e agenzie di pubblicità [36,2%], distribuzione alimentare Modena [+33,9%] e servizi informatici e software [+29%]. Dov’è che chiudono le imprese? Secondo i dati Cerved, a chiudere volontariamente sono le aziende del nord ovest [+30,7%], del centro [+27,4%] e nel Mezzogiorno [+23,5%]. In particolare, si evidenziano aumenti nell’Umbria [+72,5%], Calabria [+42%], Sardegna [+41%], Sicilia [+39%], Liguria [+36,3%], Lombardia [+33%]. In controtendenza si segnalano invece la Valle d’Aosta [-32%] e il Molise [-3,4%].

Perché le imprese chiudono?

L’aumento in percentuale di fallimenti e liquidazioni in bonis o volontarie sono due fenomeni distinti. Come spiega il Cerved, il fallimento di un’impresa non è un evento estemporaneo, bensì un processo di deterioramento dove problemi finanziari tendono ad accrescere nel tempo e che spesso è anticipato da una riduzione del volume di affari. Diversamente, la liquidazione volontaria è un’istantanea, un vero e proprio indicatore che riflette il peggioramento delle aspettative imprenditoriali nel Paese. Non a caso, la chiusura di un’attività in bonis è generalmente legata a margini attesi non sufficienti a proseguire l’attività. I dati del 2023 fanno emergere una chiara inversione di tendenza: l’impennata dell’inflazione e il conseguente forte rialzo dei tassi di interesse si è manifestata in modo asimmetrico sulle imprese. Per questo, intercettare tempestivamente segnali di allarme e gestire situazioni di crisi avvalendosi di dati, algoritmi predittivi e tecnologia, è sempre più fondamentale.

gianni-milanese

Settembre 2024 – Fonte AI

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adminMoria di imprese in Italia nell’ultimo anno